formazione psichiatrica

 

LO MAGRO MICHELE* , BORDONE ANDREA**

VAN GOGH TRA FOLLIA, MISTICISMO ED ARTE

La tradizione psichiatrica antropologica è molto più datata di quanto si pensi: nasce con l’illuminismo e la rivoluzione francese. Il cittadino Philippe Pinel nel 1800 scrive un trattato medico e filosofico con il quale apporta una rivoluzione epocale: l’icona della follia cessa di essere l’irrazio-nale per diventare la lotta tra la persona ed il suo patrimonio biologico. Dice Pinel: “La persona non è mai soggiogata totalmente della sua follia”. Ispirato da questa certezza, libera i malti di mente dalle catene. Trascorsi due secoli, a Pinel fa eco la Psichiatria Fenomenologia di W. Blankenburg: “Qualsiasi fenomeno psicopatologico resta un mistero. Non sapremo mai quanto è dato dal disturbo primario e quanto dal tentativo della persona di fronteggiarlo”. Da questo assunto di fondo derivano due assiomi: a) Non esistono malattie mentali, quali enti esistenti in natura, ma modalità d’essere. Da questo assioma derivano due corollari: 1) non esiste una semplice etiopato-genesi biologica, ma una complessa vulnerabilità antropologica, data da fattori biologici e personologici e dalla capacità di coping, cioè di adattamento situazio-nale; 2) non esiste una diagnosi ed una prognosi, ma un percorso personale, che può condurre all’invalidazione della follia, ma anche alla santità ed alla creatività artistica. A dimostrazione di questo primo assioma, basta ricordare che Van Gogh, pur avendo avute diagnosticate tutte le malattie note ed anche qualcuna in più, sia stato considerato un eroico martire incompreso dalla società e, per le quotazioni di mer-cato, il più grande pittore di tutti i tempi. b) Non esiste una psicopatologia, quale alterazione di sfere psichiche come quella affettiva od ideativa, ma una relazione tra me e il mio mondo distorta o fallita o impossibile. Da questo assioma derivano due corollari: 1) non esiste un Disturbo dell’umore, ma persone vulnerabili ad un’identificazione eccessiva con il senso comune; 2) non esiste un Disturbo Schizofrenico, ma persone vulnerabili ad un prevalere radicale e pervasivo del mondo proprio. A dimostrazione di questo secondo assioma, Van Gogh, lungo il suo percorso biografico, vuole fare prevalere il mondo proprio con modalità spropositata, dando libero sfogo ad emozioni, desideri e bisogni. La sproporzione antropologica è coglibile sia nella sua religiosità, che si declina all’insegna del fanatismo mistico, e sia nella sua arte, che si declina all’insegna del furore creativo. La follia La vulnerabilità di Van Gogh si manifestò già in tenera età. Basta citare due os-servazioni della madre Cornelia Carbentus Van Gogh: “Vive in modo diverso dai suoi coetanei”; “Penso sempre che ovunque sia e qualunque cosa faccia, possa ro-vinare tutto con la sua eccentricità e le sue strane idee”. Van Gogh vive dapprima in una modalità esistentiva, che non è ancora psicopa-tologica. Binswanger la potrebbe chiamare una forma di “esistenza mancata”, un “vivere di traverso” e Ballerini una forma di “autismo normale”. Ma negli ultimi due anni il mondo proprio tracima, accozzando con la realtà del senso comune. Il misticismo Egli è un fervente credente e vuole diffondere il messaggio di Cristo; ma è assolutamente incapace di accettare la normalità con le sue regole ed entra in con-flitto con tutte le istituzioni religiose. Queste non lo considerano caritatevole, bensì sovversivo e fanatico, accusandolo di follia mistica. Naturalmente Van Gogh deci-de di essere un libero evangelizzatore. Possiamo in modo differente dire che si comporta sia da mistico, se non addirittura da Santo, e sia da folle. Kierkegaardianamente la sua vita religiosa è infrazione, paradosso, “scandalo”. Nel Borinage, una delle zone più tristi e miserabili del Belgio, vive da solo in una capanna abbandonata, dormendo sulla nuda terra, dona tutto ai poveri, si veste di stracci, cammina a piedi nudi, considera il sapone un lusso colpevole, si nutre di poco pane ed acqua, si infligge penitenze corporali, fustigandosi e percuotendosi sino a ricoprire il corpo di piaghe, cura gli infermi contagiosi, mette in salvo dal calpestio i bruchi che incontra per strada, per predicare ai minatori scende nelle profondità delle miniere. Leibinizianamente considera “Deus sive natura” e sceglie pertanto di dedicarsi ai miseri minatori, che lavorano sottoterra, perché vicini alla natura e quindi a Dio. Successivamente Van Gogh ricerca un rapporto diretto con Dio attraverso un amore estremo e totalizzante non solo verso la natura, ma soprattutto verso il pros-simo. Decide di redimere e sposare Sien. Si tratta di una anziana prostituta dal corpo sfiorito, il volto deturpato dal vaiolo, alcolizzata, con varie malattie veneree, incinta di padre sconosciuto e con a carico la madre ed un’altra figlia. La pretesa è che il fratello Theo, dal quale era dipeso economicamente e dal quale dipenderà per tutta la vita, mantenga questa famiglia acquisita e che il padre apprezzi il suo gesto d’amore anziché cercare di farlo interdire. L’arte Van Gogh si dedica all’arte con sempre maggiore spropositata passionalità. I colori diventano sempre più forti e le pennellate marcate ed a tratti staccati perché il suo animo diviene sempre più tumultuoso ed esplosivo. Comunque, la sua arte sarà sempre spirituale e consolatrice. Dice: “Possiedo una doppia natura di monaco e di pittore”; “Nella mia pittura vorrei sentire l’infinito”; “Nei capolavori dei grandi artisti vi si trova Dio”. Sproporzione antropologica e catastrofe finale Il prevalere spropositato del mondo proprio con relazioni impossibili portano Van Gogh alla catastrofe finale. Il tutto accade nei due anni dal 1888 al 1890. In ta-le periodo gli ultimi sogni si consumano, cozzando con la realtà. Il suicidio di-viene l’unica possibilità per dare senso alla vita, l’ultima speranza di realizzarsi sia pure in un mondo altro. Un sogno lo conduce ad Arles in Provenza. Qui Van Gogh ritiene esiste una sorta di paradiso dove raggiungere Dio e la natura e dove creare la sua arte spiri-tuale e consolatrice. Dice testualmente “Qui tutto mi dà ispirazione”; “Sono qui per un’arte consolatrice”. Altro sogno è creare un “Atelier del Sud”. Doveva essere una comunità di artisti poveri, una sorta di cenobio, di comunità cristiana primitiva, naturalmente finanzia-ta da Theo. Ma verrà solo Gauguin perché costretto dal bisogno economico e per-ché spera che Theo, mercante d’arte, gli faccia vendere dei quadri. Vincent invece crede che il fratello condivida il suo altruismo caritatevole e Gauguin il suo progetto missionario. Un altro sogno ancora è di creare con Gauguin un rapporto amicale. Ma è un af-fetto spropositato, assoluto e dispotico, che fa sentire Gauguin prigioniero di assur-de pretese. Ovviamente ben presto nascono i conflitti sino all’epilogo del taglio dell’orec-chio, che è il taglio netto ai suoi sogni. Scrive Van Gogh: “Non accetto questa si-tuazione come realtà”. Dopo la dimissione dal ricovero subito, vuole ricoverarsi volontariamente in Ospedale Psichiatrico per sentirsi protetto. Infatti il sogno dell’Athelier del Sud è fallito, l’amore amicale per Gauguin è naufragato, ad Arles è malvisto perché con-siderato un pazzo pericoloso ed il fratello Theo, fattosi fidanzato, non può dedicarsi esclusivamente a lui. Così scrive Van Gogh: “Mi sento incapace di ricominciare, aprendo nuovamen-te l’Athelier, e di rimanere solo”; “Desidero rimanere internato per la mia tranquil-lità e quella degli altri”. Dopo un anno decide di uscire dall’Ospedale Psichiatrico per riprendere i sogni, interrotti nel Sud, questa volta nel Nord della Francia. Scrive: “Sono quasi sicuro che nel Nord guarirò presto”; “Gauguin ed io torneremo a lavorare insieme”. Theo lo accontenta con cautela e parzialmente. Lo sistema ad Auvers presso il medico Gachet. Van Gogh riprende ad investire affettivamente sempre con modalità sproposi-tata questa volta sul Dott. Gachet, che chiama “papà”. Ma ancora una volta entra in conflitto e così scrive: “Credo che del Dott. Gachet non ci sia assolutamente da fi-darsi”. Contemporaneamente Theo inizia ad avere problemi professionali ed economi-ci. Inoltre, prima è lui che si ammala, poi hanno problemi di salute sia la moglie che il figlio. Non andrà più a trascorrere le vacanze da Vincent. Siamo alla catastrofe. Non solo sono naufragati i sogni, ma la stessa soprav-vivenza di Vincent è a rischio perché, non essendo mai riuscito a vendere un qua-dro, è legato alla sorte del fratello. Gli scrive: “La mia vita o la mia morte dipen-dono da te”. Nel quadro “La chiesa di Auvers” rappresenta l’isolamento totale di chi ha per-so ogni speranza, finanche l’accesso al divino. Nell’ultimo quadro, che è intitolato “Campo di grano con corvi”, rappresenta il cupo presagio della morte imminente. Van Gogh si suicidò sulla nuda terra, in contatto con quella natura nella quale aveva ricercato il divino.

CONCLUSIONI Nei salotti buoni Van Gogh segna l’inizio del passaggio dell’arte formale all’ar-te informale ed irrazionale del 1900. Nella vulgata incarna all’unisono la follia, il misticismo e la creatività quindi il mito del martire e del genio incompreso morto povero e suicida. Una storia di ordinaria follia può anche essere una favola romantica.

RIASSUNTO Utilizzando alcuni concetti fondamentali dell’attuale Psichiatria Fenomenologica, viene rivisitata la patobiografia di Vincent Van Gogh. Questa appare come un prototipo ove i confini della maniera d’essere in psicopatologia sfumano tra mistica e creatività. Un percorso personale, inserito in una precisa situazione storica e culturale, determina l’esito. Van Gogh in vita fu solo un malato mentale, naufragando come mistico e come artista; ma dopo la morte, cambiati i paradigmi, sdoganata l’irrazionalità come valore, è divenuto un martire vittima della società ed il più grande genio pittorico di tutti i tempi per la valutazio-ne economica dei suoi quadri.

SUMMARY Using some fundamental concepts of the actual Phenomenological Psychiatry the whole pathobiography of Vincent Van Gogh is revisited. This appears as a prototype in which the boundaries of the way to be in psychopathology fade between mystic and creativity. A per-sonal path, inserted in a precise historical and cultural situation, determinates the outcome. Van Gogh was just a mentally ill person during his life, lost as mystic and artist; but after his death, as paradigms did change, being irrationality legitimized as a value, he beca-me a martyr, victim of society and the highest pictorial genius of all times in regards to his paintings economical evaluation.

BIBLIOGRAFIA ARGAN G.C., Van Gogh. Rizzoli Skira. Milano, 2003. ARTAUD A., Van Gogh. Il suicidato della società. Adelphi. Milano, 2003. BALLERINI A., Patologia di un eremitaggio. Bollati Boringhieri. Torino, 2002. BALLERINI A., Psicopatologia fenomenologia: percorsi di lettura. CIC Edizioni Internazio-nali. Roma, 2002. BINSWANGER L., Tre forme di esistenza mancate. SE. Milano, 1992. BLANKENGURG W., La perdita dell’evidenza naturale. Raffaello Cortina Editore. Milano, 1998. BONICATTI M., Il caso Vincent Willen Van Gogh. Boringhieri. Torino, 1977. CRISPINO E., Van Gogh. Giunti Editore. Firenze, 2005. DELEEUW R., Van Gogh. Giunti. Firenze, 1988. GAUGUIN P., Van Gogh V. E T. Archinto. Milano, 2006. JASPERS K., Genio e Follia. Rusconi. Milano, 1991. LEPROHON P., Van Gogh. Rusconi. Milano, 1991. MARIGLIANO A., Vincent Willen Van Gogh. Un malato incompreso. Atheneum. Firenze, 2003. PATANÈ A.G., Arte e patologia in Vincent Van Gogh. Aracne. Roma, 2008. PINEL PH., Trattato medico filosofico sull’alienazione mentale. ETS. Pisa, 1988. RECALCATI M., Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh. Bollati Boringhieri. Torino, 2009. ROSSI MONTI M., STANGHELLINI G., Psicopatologia della schizofrenia. Raffaello Cortina Editore. Milano, 1999. STANGHELLINI G., Antropologia della vulnerabilità. Feltrinelli Editore. Milano, 1997. STANGHELLINI G., Psicopatologia del senso comune. Raffaello Cortina Editore. Milano, 2006. TORTERELO A., Van Gogh. Mondatori Electa. Milano, 2005. VAN GOGH BONGER J., Vincent Van Gogh. Abscondita. Milano, 2007. VAN GOGH V., Lettere a Theo. Guanda Editore. Parma, 2006.

Home