GALVAGNO MARIELLA*
LA «PRESENTAZIONE DEI MALATI» NELLA PRATICA PSICHIATRICO-PSICOANALITICA IN FRANCIA, A PARIGI IN PARTI-COLARE: UNA PRIMA IDEA.
Prima parte
Sollecitata dall’infaticabile Direttore di questa Rivista, a conoscenza del mio soggiorno a Parigi per l’approfondimento della dottrina e della clinica psicoanaliti-ca, riferisco qui brevemente intorno ad un aspetto che costituisce un momento es-senziale dell’insegnamento della scuola lacaniana e che può interessare direttamen-te gli psichiatri. Si tratta della cosiddetta “presentazione dei malati” nelle strutture che li accolgono e ne hanno cura. In Francia la presentazione dei malati - cito da una proposta della Scuola di Vil-le-Evrard per un ciclo di formazione alla clinica psicoanalitica in psichiatria per il 2009-2010: è stata (…) al principio stesso della formazione, già dalla metà del XIX° secolo, di generazioni successive di psichiatri e d’infermieri, poi più tardi di psicologi e di psicoanalisti, ma anche degli assistenti sociali, in breve, di tutti colo-ro la cui funzione destinava a curare all’ospedale, come pure ad accompagnare fuo-ri dall’ospedale i malati mentali. Come perdere di vista che l’essenziale del sapere clinico ordinario che ciascuno invoca, i nomi delle patologie, i loro segni, le loro possibilità o i loro rischi, è stato elaborato insieme, attorno a pazienti giudicati par-ticolarmente interessanti, dopo esame pubblico, in una dialettica con coloro che vi avevano silenziosamente assistito, e che giudicavano non solo il paziente ma anche l’esaminatore, e le condizioni nelle quali i sintomi erano stati messi in evidenza e articolati? Di tutto questo si conserva traccia nella letteratura scientifica: è l’essenza stessa della clinica . Nella psichiatria francese la presentazione dei malati è così forte e produttiva d’insegnamento che, per quante critiche e timori abbia suscitato, essa resta tuttavia saldamente radicata nella tradizione e nella prassi degli ospedali e delle strutture psichiatriche esistenti diffuse su tutto il territorio. A titolo informativo e tenendo conto soltanto dell’insegnamento impartito sotto l’egida dell’Association Lacanienne Internationale (A.L.I.), per il 2008-2009 gli iscritti hanno virtualmente goduto della possibilità di frequentare ben sei strutture medico-psichiatriche ove si svolge regolarmente una presentazione di malati . Ma in realtà, per rendersi conto dell’ampiezza, della consistenza e del peso che la pratica della presentazione dei malati ha nella tradizione psichiatrica francese e nella formazione di psichiatri, psicoanalisti, psicologi, infermieri e assistenti sociali basta dare un’occhiata alle 35 pagine di una bibliografia che raccoglie la letteratura scientifica sul tema, pubblicata dalla rivista Essaim . Quel che salta subito all’oc-chio è che la maggior parte dei riferimenti riguarda le presentazioni di Jacques Lacan, e che la maggior parte degli altri autori citati sono direttamente o indiretta-mente allievi di Lacan: l’impronta di questo grande della psichiatria e della psicoa-nalisi sul modo di esercitare questa pratica, ben anteriore all’emergere del suo in-segnamento, è stata decisiva. In che modo? Per rispondere farò riferimento soprattutto alla mia diretta esperienza di presen-za (assistance) alla presentazione dei malati presso tre diverse strutture ospedaliere, due volte al mese all’Ospedale Henri Ey, una volta la settimana alla Clinica Rémy de Gourmont e presso l’Ospedale di Gonesse. Prioritaria è la descrizione del dispositivo. Esso è costituito da una “messa in scena” in cui il malato, accompagnato dal suo medico-psichiatra curante e/o da in-fermieri, o dallo stesso clinico che lo presenterà, verrà invitato a sedere accanto a lui, mentre un pubblico silenzioso disposto di fronte a loro o, a seconda delle sale, in cerchio attorno al tavolo cui siedono gli altri due attori, assiste al colloquio-interrogatorio che si svolge, nell’arco di un’ora circa, ma anche più, fra medico e paziente. Il malato è per lo più uno psicotico, ma non sempre, possono presentarsi delle isteriche, dei depressi, che vengono ricoverati per diversi motivi, per es. per tentato suicidio, su richiesta sovente dei familiari. Il pubblico è costituito oltre che dallo stesso psichiatra che ha in cura il malato (quando egli stesso non è il presenta-tore), dagli infermieri, da altri psichiatri, psicologi, assistenti sociali e psicoanalisti interessati alla presentazione. Tutti, comunque, interessati al discorso psicoanaliti-co e per la maggior parte, anzi, impegnati nella pratica psicoanalitica. Si tratta di un pubblico ammesso previa domanda, che per lo più segue con costanza e per parec-chi anni queste presentazioni. L’ora successiva alla dipartita del paziente è dedicata alle spiegazioni e chiarificazioni concernenti soprattutto i problemi posti dalla dia-gnosi del caso e da un eventuale scambio di pareri fra l’assistance e il presentatore. Alla Clinica Rémy de Gourmont Jean-Marc Berthomé, psichiatra psicoanalista, alterna settimanalmente la presentazione di malati che spesso sono suoi stessi pa-zienti con un seminario sulla mania-melanconia il mercoledì successivo, mentre a Gonesse Bernard Vandermersch, anch’egli psichiatra psicoanalista, presenta pa-zienti che ha conosciuto solo un attimo prima di entrare nella sala e che quindi si farà un’idea della problematica del soggetto in base al colloquio che si svolgerà . All’Hôpital Ey si alternano nella presentazione due psicoanalisti non psichiatri , Stéphane Thibierge e Hubert de Novion, i quali interrogano un ricoverato che non conoscono e che è loro affidato dallo psichiatra responsabile del settore, Michel Daudin, anch’egli psicoanalista e che partecipa a tutte le presentazioni e successive “riprese”. Qui, infatti, come pure a Gonesse, l’organizzazione dell’insegnamento prevede che la volta successiva alla presentazione uno dei partecipanti, cioè di co-loro che hanno assistito al colloquio, riprenda il caso per presentarlo a tutti gli altri secondo l’idea che se ne è fatta a partire dalla lettura dei suoi stessi appunti e, per le presentazioni all’Hôpital Ey, a partire anche dal resoconto stenografico che nel frattempo avrà ricevuto da parte della segretaria del settore. In questo modo tutti quelli che assistono sono stimolati ad una elaborazione, quasi sempre scritta, che non può che rispondere alla loro stessa domanda di sapere e di insegnamento. Chi-unque, fra il pubblico, può proporsi per questo lavoro: già qui si vede bene come l’insegnamento sia uno dei punti capitali della presentazione, esso tuttavia non è il solo. Si sarà notata la differenza fra la presentazione che avviene alla Clinica Rémy de Gourmont da parte di J.-M. Berthomé e quelle effettuate all’Ospedale Henry Ey e all’Ospedale di Gonesse: nel primo caso il paziente invitato al colloquio può an-che essere un paziente stesso dello psichiatra presentatore, che questi già conosce bene; negli altri due casi invece chi presenta non ha né visto né parlato prima col ricoverato. Inoltre, nel primo caso non c’è “ripresa”, gli assistenti possono però proporsi per presentare al seminario sulla mania-melanconia un loro lavoro, una loro elaborazione, attinenti alla tematica del seminario e quindi indirettamente an-che ai pazienti presentati. C’è da dire anche che alla Clinica de Gourmont la pre-sentazione si svolge nell’ambito di un seminario all’interno del quale essa è etica-mente giustificata, fra l’altro, dalla ricerca che questo seminario persegue circa la struttura della mania-melanconia: avanzare su quanto sinora ricevuto, elaborare una nuova, più adeguata nozione di soggettività, tenendo conto di tutti gli apporti perti-nenti, non solo di quello lacaniano, in una tensione di superamento del trito e ritri-to, come d’altronde lo stesso Lacan auspicava per il divenire della psicoanalisi. A questo punto è opportuno ritornare alla questione posta più sopra: in che mo-do la presentazione dei malati da parte di Lacan ha influenzato, anzi cambiato radi-calmente il successivo esercizio di questa pratica senza che il suo insegnamento clinico si separi dalla clinica psichiatrica classica? Lacan praticò la presentazione fin dall’inizio della sua carriera in ospedale; assi-stette a quelle di Georges Dumas a Sainte-Anne dal 1920 al 1930 e a quelle di Gaë-tan Gatian de Clérambault nell’infermeria psichiatrica della Prefettura di polizia di Parigi, infermeria speciale per gli alienati, dove erano portati d’urgenza i soggetti pericolosi, e poi assicurò, a partire dagli anni Sessanta, una presentazione settima-nale a Sainte-Anne nel reparto Henri-Rousselle grazie a Georges Daumézon . Nella lezione da del 5 maggio 1965 del seminario sui Problemi cruciali per la psicoana-lisi egli afferma: … lo psicoanalista (…) introducendosi come soggetto supposto sapere, è lui stesso, riceve lui stesso, sopporta lui stesso lo statuto del sintomo. Un soggetto è psicoanalista, e non sapiente protetto dietro categorie in mezzo alle quali cerca di sbrogliarsela facendo dei cassetti nei quali classificherà i sintomi che regi-stra del suo paziente, psicotico, nevrotico o altro, nella misura in cui capisce il gio-co significante. Ed è in questo che un esame clinico, una presentazione di malato non può assolutamente essere la stessa dopo la psicoanalisi o prima della psicoana-lisi. Prima, quale che sia il genio che vi abbia messo il clinico – dio lo sa, ho potuto recentemente rinfrescare la mia ammirazione per lo stile affascinante di un Kraepe-lin quando egli descrive le sue diverse forme di paranoia – la distinzione è radicale riguardo a ciò che, almeno in teoria, in potenza, è esigibile dal rapporto del clinico con il malato, non fosse che sul piano della prima presentazione. Se il clinico, il medico che si presenta non sa che egli stesso porta per una buona metà il carico del sintomo (…), che non c’è presentazione di malato, ma dialogo fra due persone e che, senza questa seconda persona, non ci sarebbe tutto il sintomo, egli è condanna-to, com’è il caso per la maggior parte, a lasciare stagnare la clinica psichiatrica sul-la via da cui la dottrina freudiana avrebbe dovuto tirarla fuori . Freud, da parte sua, assistette alle presentazioni che Charcot faceva alla Salpê-trière, ma non esercitò mai questa pratica che non doveva amare, benché avesse apprezzato così tanto l’insegnamento di Charcot da tradurre e pubblicare in tedesco le Lezioni del martedì di Charcot . D’altronde, sia il quadro raffigurante una le-zione di Charcot alla Salpêtrière che troneggia sopra il famoso divano, sia la Prefa-zione alla traduzione suddetta, sia le lettere alla fidanzata Martha Bernays testimo-niano un’esplicita e autentica ammirazione per quello che egli chiama il Maestro . Ciò non gli impedisce di manifestare la sua ripugnanza nei confronti della sugge-stione, come si evince da una delle note che egli si prese la libertà di inserire a piè di pagina del testo tradotto . L’evocazione di questo quadro tuttavia fornisce l’occasione per riferire adesso qual è la critica importante che viene sollevata nei confronti di una pratica che cer-to non è più quella dei tempi di Charcot. Il dispositivo della presentazione dei malati classica viene definito «realmente perverso. Perché? Perché presuppone l’apatia di un pubblico terzo che è nella posi-zione di voyeur. C’è il presentatore che è lo strumento di ciò che mostra da godere. Il pubblico è lì perché il paziente goda ….» . Cosa giustifica allora eticamente che la presentazione continui nella forma che apparentemente è rimasta la stessa anche presso coloro che la criticano? Il fatto è che con la clinica lacaniana delle psicosi tutto è in realtà cambiato, come può già dare un’idea il passo su citato della lezione del 5 maggio 1965. La presentazione classica era fondata sulla relazione a due (presentatore e paziente) e sullo sguardo (il paziente incarnava l’oggetto della domanda dei medici di vedere, di sapere). «Là dove Charcot faceva appello allo sguardo e non esitava a provocare le manifestazioni isteriche per illustrare un caso clinico, assicurare il suo insegna-mento e fondare una diagnosi, Lacan centrava il dispositivo sulla parola del sogget-to» e «agiva in modo che fosse lui, il paziente, al posto dell’insegnante» . Il pa-ziente non è l’oggetto necessario per un insegnamento, una cavia o colui che per-mette, grazie ad una problematica così difficile da sottrarsi ad ogni comprensione, di discutere una diagnosi per meglio orientarsi. Quando ad un paziente viene pro-posta l’esperienza della presentazione, «la domanda è quella del reparto, che si a-spetta qualche cosa e non la sua, almeno inizialmente. Ma se il soggetto accetta, egli s’impegna, egli impegna qualcosa del suo desiderio che va oltre la domanda di un altro. Non dimentichiamolo. È già un soggetto» . J.-M. Arzur, citando uno scritto di Claude Léger, Éloge de la présentation de malade, fa suo quanto quest’ultimo dice con riferimento al contesto degli anni ‘70: se i militanti anti-presentazione fossero entrati, al modo di un Act up, nella sala do-ve si tenevano le nostre presentazioni (…) essi sarebbero stati sorpresi di scoprire due persone nell’atto di discorrere spesso tranquillamente di fronte ad un uditorio attento, e sarebbero stati loro ad apparire allora degli intrusi …» e «… la presenza di un pubblico durante il colloquio non soltanto non costituisce un ostacolo ma può essere anzi considerata come elemento essenziale del dispositivo . Il pubblico, che non è un pubblico qualunque, è testimone, il malato si rivolge indirettamente anche ad esso, e qualcosa di nuovo può emergere a beneficio del malato. Quando, durante le presentazioni alle quali ho assistito qualche paziente ha chiesto chi fossero le persone presenti, il clinico ha risposto ricalcando col suo stile proprio quella che una volta era stata la risposta di Lacan: «Sono delle persone scelte, che s’interessano a ciò che le capita». Questa risposta introduce la nozione d’interesse, cioè di un ascolto che è nell’attesa di un sapere. Non si tratta di un pubblico che sa in anticipo, ma di un pubblico che viene per apprendere qualcosa dal paziente. La presentazione di malati è dunque l’occasione data a un paziente che ha vissu-to un’esperienza ineffabile di trasmetterne un sapere ad altri che vi si interessano. Questa trascrizione ha già, in sé, un carattere terapeutico perché essa restaura un legame là dove un’esperienza inaugurale aveva isolato il soggetto dai suoi conge-neri . A questo proposito importa notare che J.-M. Berthomé spiega gli effetti di sog-gettivazione che si possono produrre nell’ambito di una presentazione - «si è notato moltissime volte che delle persone sono state veramente molto meglio, come se fosse legato al fatto che esse si fossero ritrovate in quello che dicevano altrimenti da come ci si può ritrovare in analisi, nell’ambito stretto della psicoanalisi» - in un modo che è in via di elaborazione e di cui in questa sede non posso dar conto. Posso indicare soltanto per dare un’idea il modo in cui egli presenta il problema: … la grande questione che si pone sia a degli psichiatri che a degli psicoanalisti è di sapere in che cosa ciò che descrivo come quadro (tableau) maniaco-melanconico è diverso da una descrizione psichiatrica classica, chiamata da 150 anni «follia circo-lare»; in che cosa questa descrizione è diversa da una descrizione psichiatrica clas-sica che prenderebbe in considerazione certi elementi di psicopatologia. È una que-stione psicoanalitica, è dunque una questione indirizzata a delle orecchie psicoana-litiche, ma anche rivolta all’analista che io sono, cioè fino a che punto io resto ana-lista quando faccio una descrizione. Per formulare la questione altrimenti: in che cosa la presentazione di un tableau e, a fortiori, in occasione di una presentazione di malati, in che cosa la presentazione di un tableau riguarda la psicoanalisi in quanto essa ha a che fare col soggetto dell’inconscio? L’argomento secondo il qua-le sono dei soggetti che si presentano così è un argomento sufficiente? (…) Quando si parla di soggetti (è sempre il problema nel lacanismo), siamo sicuri di non ricon-durre la vecchia nozione metafisica dietro la nozione di soggetto dell’inconscio? Vi rendete ben conto che c’è qui un vuoto concettuale o in ogni caso un posto per un vuoto concettuale dove si riversano tutte le male fedi e che permette di tranquilliz-zare tutte le cattive coscienze . Mi limiterò, in questa sede, a riassumere la conclusione in due punti. Il primo concerne lo scopo della presentazione dei malati, scopo che, come si è visto, non è solo finalizzato all’insegnamento, ma è anche quello di costituire un’occasione per il malato, il quale potrebbe, all’uscita dalla presentazione, situarsi in modo diverso rispetto al suo stesso discorso, in ragione di quel che è stato detto durante il colloquio. A questo bisogna aggiungere anche la possibilità che attraverso la discussione a partire dal “sapere” apportato dal paziente, lo psichiatra ospedaliero che ha propo-sto la presentazione possa ottenere più lumi circa una diagnosi difficile ed even-tualmente imprimere una diversa direzione al trattamento. Questi tre scopi (l’insegnamento, la discussione e i chiarimenti sulla diagnosi e dunque sul trattamento più opportuno, il beneficio per il paziente) stanno sullo stesso piano, essi s’intrecciano in una dialettica nella quale i tre attori, il paziente (colui che “sa”), il presentatore e il pubblico scelto (testimone) esercitano una nuo-va pratica (pratica sociale in senso lato): la clinica lacaniana dei disturbi mentali. Col secondo punto vorrei solo mostrare quanto, attraverso un singolare intrec-cio, la psicoanalisi deve, grazie a Lacan, alla psichiatria, anche se è l’ingresso di Lacan nel campo della psicoanalisi che ha reso possibile il mutamento da cui è nata la clinica psicoanalitica in psichiatria. Mi avvarrò per questo della citazione di un brano dell’intervista a Marcel Czermak di cui ho fatto già menzione, in cui il clini-co risponde in modo lapidario ma estremamente incisivo a due questioni: H.N.: Lacan è arrivato alla psicoanalisi attraverso la paranoia, ma ci si accorge, alla lettura della sua tesi, che egli aveva già elaborato prima del suo incontro con la psicoanalisi una parte della sua teorizzazione. M.C.: Si, nello stesso tempo egli aveva superato molte impasses della psichia-tria (…) dopo il caso Aimée il suo metodo è rimasto lo stesso: come comincia, i momenti d’inversione, di cristallizzazione, di smorzamento … Io continuo a pensa-re che sul piano metodologico la sua tesi resta uno strumento formidabile, e che si entra più facilmente nella psicosi attraverso questa tesi che attraverso i manuali po-steriori. E.T.: Quali sono le incidenze sulla teoria analitica per il fatto di essere affronta-ta a partire dalla psicosi? M.C.: Poiché la psicosi sfugge alla psicologia spontanea, questo rompe ogni connivenza fra il paziente e il suo terapeuta, e di conseguenza fra terapeuti. La ten-denza è di volere trovare del senso, del significato, ora tutto questo è regolarmente battuto in breccia dalla psicosi. Questo spinge molto lontano l’interrogativo su ciò che parlare vuol dire. Un nevrotico, lo si può prendere senza interrogarsi mai su questa questione: si ha l’impressione di sapere di che cosa si parla. Ora, la psicosi, è il livello zero della comprensione, salvo a introdurvi le nostre stupidaggini abi-tuali. Lacan stesso diceva: Io non sono un tipo che capisce molto, lì dove tutti capi-scono, io non capisco .
RIASSUNTO L’articolo riguarda un aspetto importante dell’insegnamento della scuola lacaniana che può interessare gli psichiatri, la c.d. “presentazione dei malati” nell’ambito della struttura che li accoglie e li cura. Essa ha di mira oltre che l’insegnamento e la discussione sulla dia-gnosi e quindi sul trattamento, anche un possibile beneficio per il paziente. Il dispositivo della presentazione e le sue caratteristiche sono descritte dall’autore a partire dalla sua di-retta esperienza negli ultimi due anni a Parigi.
SUMMARY The article regards the so called “presentation” of the patients, which is an important point of the lacanian school. It could interest the psychiatrists. The target of the “presentation” is teaching, discussing the diagnosis and most adequate therapy, and the possible advantage of the patients. The author writes about the working and the characteristics of the “presentation” as a result of her experience in Paris over the last two years. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI