UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
DOTTORATO DI RICERCA IN MEDICINA NEUROVEGETATIVA
COORDINATORE: PROF. V. RAPISARDA
CRISTOFOLINI MAURIZIO, INGA FIAMMETTA, CARUSO STEFANIA
LA DOTTRINA DEL RAZZISMO: ASPETTI “SCIENTIFICI” DI BASE
“L’odio distrugge ogni cosa, tranne sé stesso” (O. Wilde)
Introduzione
Lo scrittore inglese di romanzi di spionaggio Frederick Forsyth, nel suo libro “Il vendicatore”, definisce i russi come “il popolo più razzista del mondo”, aggiun-gendo che si riferiscono alle etnie diverse dalla loro con il termine “kornei”, che nella loro lingua vuol dire “neri”. William Shakespeare, nel suo “Mercante di Venezia”, si esprime in maniera che lascia trapelare una convinzione profon-damente dispregiativa in riferimento agli Ebrei: le condizioni dei Giudei, che nell’opera succitata vivono nel ghetto della città lagunare (uno dei più antichi del mondo; si ritiene che lo stesso lemma “ghetto” derivi dal dialettale getar, pronun-ciato con la “g” dura, in riferimento ai getti di metallo fuso della vecchia fonderia presente in quella zona), sono testimoniate dall’intenso monologo di Shylock: “… Mi ha ingiuriato, disprezzato i miei guadagni, raffreddato i miei amici, infiammato i miei nemici, insozzato i miei abiti, ma perché? Perché sono un ebreo? Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lui di cibo? Non è soggetto anche lui ai malanni e sanato dalle medicine, non è scaldato e gelato dall’estate e dall’inverno, come i gentili? Se ci pungete, non sanguiniamo? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo?...”. Secondo gli antichi miti germanici, gli uomini erano costituiti da due razze: i Welsidi, discendenti degli Asi (le divinità del Walhalla), alti, biondi, dagli occhi chiari (rappresentativi del fenotipo delle popolazioni di origine scandinava) e i Neidinge, che discendevano dai Nibelunghi, di corporatura esile, scuri di occhi e di capelli (questi erano i tratti somatici caratteristici delle etnie di origine celtica). Leggende e letteratura non mancano di riferimenti al bisogno di accentuare e stig- matizzare le differenze e quindi al culto della superiorità della razza, che si traman-dano persino dalle epoche più lontane. Quello che più colpisce è come la mentalità del pregiudizio abbia inquinato, nel passato, alcuni aspetti teoretici e culturali, nel tentativo di assurgere ad una dignità di tipo “epistemologico”, poi sconfessata in tempi più recenti (si vedano i documenti redatti dall’UNESCO, Dichiarazione sulla Razza, del 1950, e Dichiarazione sulla razza e il pregiudizio razziale, del 1967). La discriminazione sociale e razziale nell’antichità e nel Medio Evo L’antica Sparta, probabilmente, rappresenta il prototipo della società votata al totalitarismo sociale e biologico fondato su una concezione “eugenetica”del biso-gno del mantenimento della purezza della discendenza. Tale società suddivideva i suoi membri in tre classi: gli Spartiati, cioè gli appartenenti all’aristocrazia guer-riera, la categoria sociale più potente e temuta; i Perieci, cioè i pastori, i contadini e gli allevatori, che vivevano nei dintorni del nucleo urbano; gli Iloti, gli uomini “senza diritti”, che spesso erano utilizzati per addestrare al combattimento i giovani Spartiati, i quali li potevano ferire o uccidere senza pericolo di ritorsioni (fu il ge-nerale Pausania che, prima della battaglia di Platea, durante le guerre Persiane, fece in modo che agli Iloti venissero riconosciuti alcuni diritti civili). Si vuole ricordare inoltre che gli Spartani, allo scopo di conservare l’integrità genetica del loro po-polo, gettavano giù da un precipizio del monte Tagete i neonati che presentavano malformazioni o altre meiopragie evidenti(1). Nell’antica società Israelita esisteva una conflittualità estremamente forte, risa-lente ai tempi dei re Saul e Davide, fra i Giudei, cioè i discendenti di Giuda, figlio quartogenito di Giacobbe e fondatore della maggiore delle Dodici Tribù, e gli Edomiti, o Idumei, discendenti di Esaù. A quest’ultima stirpe apparteneva Erode il Grande(2). Fin dall’epoca della colonizzazione degli Arii, l’organizzazione della società Indiana prevedeva la suddivisione in caste (o varna), i cui membri, secondo le cre-denze Indù, avevano origine dalle diverse parti del corpo di Brahama, il Creatore della Trimurti, cioè la trinità della religione induista (le altre due divinità sono Shiva, il Conservatore, e Visnù, il Distruttore). Le caste erano rappresentate da: i Brahamani, cioè i sacerdoti, originati dalla bocca di Brahama; i Ksatriya, i guer-rieri, originati dalle braccia; i Vaisya, contadini ed artigiani, originati dal ventre; i Sudra, i servi, originati dai piedi. Oltre a questi, esistevano anche i “fuori casta”, i Parya, che avevano origine dalla polvere dei sandali del dio, indegni di considera-zione e che vivevano ai margini dei villaggi e potevano camminare solo ai bordi delle strade(3). Alla fine del Medio Evo, nella Spagna del XV Secolo, i regnanti Ferdinando d’Aragona ed Isabella di Castiglia emendarono, nel nome della limpieza de sangre (purezza del sangue), l’Editto di Granada, la cui conseguenza fu la feroce repres-sione degli Ebrei e dei moriscos (i cittadini di origine araba), che vide il suo stru-mento più efficace e spietato nella Inquisizione Spagnola, sotto la guida di Tomas de Torquemada(4). Dal XIX Secolo in poi: il “razzismo scientifico” 3a. I primordi: il “paradosso di Wallace” Il termine “razza”, per designare sottogruppi con aspetti fenotipici diversi all’in-terno di una stessa specie fu introdotto dallo studioso svedese Karl Von Linne (meglio noto in Italia come Linneo), nel suo Systema naturae, del 1735. Ma è gra-zie alle teorie sull’evoluzione biologica che si introduce il concetto dello sviluppo di nuove proprietà (anatomiche o fisiologiche) da parte delle specie viventi al modificarsi delle condizioni dell’ecosistema (climatiche, geologiche ecc.), in senso adattativo, lamarckiano (è l’ambiente ad indurre le mutazioni nelle forme di vita, e non sono queste ultime, viceversa, a scegliere l’ambiente dove vivere in base alle loro caratteristiche; per fare un esempio “la talpa non vive sotto terra perché è cieca, ma è cieca perché vive sotto terra”) ed in senso selettivo, darwiniano (le specie meglio adattabili sopravvivono, ed i caratteri che consentono le maggiori competenze in fatto di sopravvivenza sono quelli che si manifestano con maggiore frequenza). Ma fu proprio sulla questione dell’intelligenza umana, come aspetto fondamen-tale dell’evoluzione della nostra specie, che venne a generarsi la querelle sul ruolo preminente di alcune razze (segnatamente quella caucasica) sulle altre, e non per questioni inerenti alla mutabilità biologica, ma per il volere superiore divino. La massima espressione di questo tipo di ideologia è racchiuso nelle considerazioni di un antagonista di Charles Darwin, Alfred Russel Wallace(5): secondo quest’ultimo, difatti, “le nostre leggi, il nostro governo, la nostra scienza ci impongono con-tinuamente l’uso della ragione attraverso una serie di fenomeni… La selezione naturale avrebbe dovuto dotare un selvaggio di un cervello di dimensioni di poco superiori a quelle di una scimmia, invece egli ne possiede uno di poco più piccolo di quello di un filosofo… Una volontà superiore ha guidato lo sviluppo dell’uomo verso una direzione definita e con uno scopo speciale… (Contributions to the Theory of the Natural Selection, 1870). Al giorno d’oggi, dopo quasi 150 anni, è stato possibile superare la barriera del “paradosso di Wallace” grazie alla teoria della “nicchia cognitiva” (Pinker, 2006), secondo la quale in tutti gli esseri umani, qualunque sia il grado di sviluppo delle comunità a cui appartengono, hanno sviluppato capacità, livelli di organizzazione ed adattamenti biologici che li rendono diversi dalle altre specie (arti superiori prensili con pollici opponibili per fabbricare utensili; organizzazione sociale fami-liare per perseguire fini comuni; maggiore durata della pubertà per meglio as-similare dalle figure parentali), e solo delle contingenze storiche fortuite hanno determinato in alcune società un incremento del know-how tecnologico maggiore rispetto ad altre(6). 3b. La discriminazione nella letteratura francese Analogamente a quanto descritto in Inghilterra, il panorama scientifico e socio-filosofico francese già era diviso sulla questione delle differenze di classe e di tipo razziale, con testimonianze documentali che risalgono al XVIII secolo. Difatti, nel-le Memorie sul Governo della Francia, pubblicato da H. de Boulainvilliers nel 1727, si affermava il diritto di superiorità della classe aristocratica, di origine franco-germanica, sulla classe proletaria, di origine gallo-romanica. Tuttavia, la summa teoretica dell’ideologia della discriminazione razziale si condensa, nel XIX secolo nell’opera del conte de Gobineau. È, appunto, nel suo “Saggio sull’inegua-glianza delle razze umane”, del 1855, che vengono espressi tutti i principi di base del culto della purezza razziale che saranno tipici delle ideologie successive (l’os-sessione avversativa per la contaminazione del sangue, vista come fonte e segno di decadenza sociale; l’immagine della cultura come aspetto che rispecchia le qualità innate di un popolo; la supremazia della razza bianca, indoeuropea, ariana, di cep-po teutonico; il sentimento antisemitico; il rischio di degrado sociale correlato con la commistione dei caratteri genetici e con la democrazia). Successivamente, G. Vacher de Lapouge nei suoi trattati (Le relazioni sociali, del 1896; L’ariano, suo ruolo sociale, del 1899; Razza e ambiente sociale, del 1909), propagandò la valen-za dell’“indice cefalico” dell’homo europaeus come optimum per i parametri di civiltà e progresso(7). 3c. Gli epigoni dell’ideologia nazista in Germania La pseudo-cultura della superiorità genetica tracimò facilmente dalla Francia alla Germania, trovando dei ferventi sostenitori nel britannico, naturalizzato tede-sco, H. S, Chamberlain (I fondamenti del XIX secolo, 1900), e nell’antropologo O. Ammon (L’ordine sociale e le sue basi naturali, 1895), nel periodo a cavallo tra i due secoli. Quindi già dagli inizi del XX secolo, in epoca pre-nazista, erano pronti a germinare i semi dell’ideologia della preminenza del ceppo ariano, e gia esiste-vano dei fautori dell’inquadramento scientifico di tali teorie, i cui lavori e scritti hanno fortemente ispirato il pensiero di Hitler e dei suoi gerarchi(8). Fra essi meritano di essere citati: Alfred Ploetz, fondatore, nel 1905, della “Deutsche Gesellschaft fur Rassenhygiene” (Società Tedesca per l’Igiene della Razza); il professor Otmar Von Verschuer (nominato Direttore del Dipartimento di Genetica del Kaiser Wilhelm Institut fur Antropologie, inaugurato a Berlino nel 1927), il cui “allievo” più noto fu il futuro responsabile medico del lager di Auschwitz, Josef Mengele; l’antropologo Eugen Fischer, autore nel 1923 del testo “Grundiss der Menschlichen Erblichkeitslehre und Rassenhygiene” (Fondamenti di Genetica Umana ed Igiene della Razza), che ispirò a sua volta, la stesura del Mein Kampf, durante la carcerazione di Hitler. Questo filone bio-scientifico, al quale aderirono anche alcuni illustri psichiatri del periodo (tra cui il Direttore del Kaiser Wilhelm Institute di Psichiatria, Ernst Rudin) culminò nella realizzazione, in epoca nazista di esperimenti barbari e criminosi nei confronti di tutte quelle categorie classificate come Untermenschen, sia all’interno dei campi di concentramento, sia in apposite strutture, tra le quali la più importante è stata rappresentata dal Centro di Ricerca sull’Igiene Razziale e sulla Biologia della Popolazione, aperto a Berlino nel 1936 e diretto dal dottor Robert Ritter(9). 3d. Le teorie genetiche sulla “criminalità congenita” in Italia Nell’Italia del XIX secolo le ipotesi “scientifiche” sulla aberrazione biologica delle razze considerate inferiori da Gobineau e da Wallace, si uniscono sincreti-camente con le teorie sul “criminale nato”, individuandone le stigmate nella razza meridionale. Infatti, sono i due antesignani della tradizione antropometrica italiana, Cesare Lombroso (che sostiene come i tratti somatici tipici della devianza compor-tamentale siano estremamente comuni nell’Italia del Sud) ed Enrico Ferri (che individua la causa di questa “alterazione” nell’influenza genetica di stampo celtico) i capiscuola del “razzismo scientifico” ausonico. Tali ipotesi furono avvalorate da altri eminenti studiosi dell’epoca, tra i quali Luigi Pigorini, ma anche scienziati o giuristi di origine meridionale, tra i quali i siciliani Giuseppe Sergi e Alfredo Niceforo (che scrisse “la razza maledetta, che popola la Sicilia, la Sardegna ed il Mezzogiorno d’Italia, dovrebbe essere dannata alla morte, come le razze inferiori d’Africa, Australia ecc…”), ed il campano Guglielmo Ferrero. Anche nell’ambito politico italiano (che allora faceva riferi-mento al Regno delle Due Sicilie come “Africa Italiana”, e che aveva accettato la suddivisione del popolo italico in “eurasiatici”, di origine giapetica, ed “eurafrica-ni”, di origine afro-semitica), i cultori delle teorie razziali lasciarono la loro im-pronta: tra di loro si ricorda Arcangelo Ghisleri, che negli Atti Parlamentari del 1876, mise a verbale “la Sicilia più di qualunque altra parte d’Europa si avvicina alle aree infuocate della Nubia; in Sicilia v’è sangue caldo, volontà imperiosa, commozione d’animo rapida e violenta…”(10). Anche nell’ambito dell’immigrazio-ne italiana in America, si avvertirono i condizionamenti ideologici di ordine di-scriminatorio soprattutto con la Commissione Dillingham, e la redazione del “Dictionary of Races and People”, che classificava gli Italiani del Sud, al pari degli Iberici e dei Berberi, come membri della “razza Hamitica, con influenze negroi-di”(11). Il Ventennio Fascista va ricordato in particolar modo per la promulgazione delle leggi razziali, al pari della Germania Nazista, la prima delle quali, emanata nel 1937, proibiva agli Italiani di meticciarsi con le popolazioni autoctone delle colonie africane, e fu successivamente seguita dal Manifesto della Razza del 1938 (dove si proclamava: “è giunto il momento che l’Italia si dichiari razzista!”), sottoscritto da 10 famosi accademici (tra i quali si ricordano alcuni docenti dell’Università di Roma, come: il professor Sabato Visco, Direttore dell’Istituto di Fisiologia; il dottor Lino Businco, assistente di Patologia Medica; il professor Arturo Donaggio, Direttore della Clinica Neuropsichiatrica), ed al quale aderì, tra i tanti, lo psichiatra Ferruccio Banissoni. 3e. La questione razziale negli USA I fondamenti teorici della discriminazione razziale negli Stati Uniti originano dalla divulgazione del pensiero del pioniere dell’eugenetica, F. Galton (Il genio ereditario, del 1869) e dell’inglese K. Pearson, secondo cui era dovere della razza bianca ricusare ogni forma di inquinamento della purezza, per esempio, con i ma-trimoni misti, per cui divenne materia giuridica (tramite le leggi Jim Crow, del 1870 circa) il reato di miscegenation, oltre alle norme sulla segregazione sociale. Così, agli albori del XX secolo, anche i massicci flussi di immigrazione furono og-getto di severe verifiche, sulla base di criteri razziali, da parte della Commissione Dillingham, costituita nel 1911 (ibidem). Negli anni ‘20, un altro fervente teoreta dell’eugenetica, Madison Grant, divulgò attraverso la sua opera (Passaggio della grande razza, del 1916) le sue convinzioni sulla “sterilizzazione forzata” e sull’“eutanasia forzata”, che vennero assimilate ed adottate accuratamente dagli scienziati della Germania Nazista. Analoghe a queste ultime furono le considera-zioni di C.B. Stoddard in “L’eredità razziale in America” del 1922(12). 3f. La segregazione in Sudafrica Il sistema di separazione sociale tra gruppi etnici differenti (apartheid), in vigore in Sudafrica fino al 1990, ha riconosciuto nei suoi promotori ideologici Daniel Francois Malan e Johannes Gerhardus Strijdom, “falchi” del nazionalismo afrikaaner, la cui ideologia riconosceva una matrice fortemente ispirata dal Nazionalsocialismo tedesco. Per contro, Hendik Frensch Verwoerd (soprannomi-nato “l’architetto dell’apartheid”) seguiva una linea ideologica più “morbida”, riconoscendo nel sistema “una politica di buon vicinato”, che preservasse le popo-lazioni indigene dalle deleterie influenze del capitalismo multinazionalista occiden-tale e della propaganda marxista(13). CONCLUSIONI L’atavica necessità di sopraffare i propri simili (homo homini lupus) traendo gratificazione dalla ricerca di giustificazioni morali, “questa specie di teoria – per usare le parole di Raskolnikov, il protagonista di Delitto e castigo di Dostoevskij – per cui, per esempio, sarebbe lecito commettere un delitto, se lo scopo essenziale è buono”, spesso in passato ha trovato dei riscontri positivi nelle indottrinazioni e nelle ipotesi di quelle che , in maniera aberrante ed arbitraria, venivano considerate nozioni scientifiche o culturali. Il “complesso di Raskolnikov”, il bisogno di rite-nere che la propria “sete di sangue” abbia motivi giusti e fondati, che richiede la messa in atto di complessi meccanismi di difesa intrapsichici (disumanizzazione, spostamento, proiezione, desertificazione morale), sta alla base non solo dell’ideale di fondo razzista, ma dei comportamenti dei più truci tra i rappresentanti del genere umano (tiranni, psicopatici, criminali di guerra ecc.), ed è un fenomeno che ricorre dall’alba dei tempi. Secondo gli adepti del Ku Klux Klan, il passaggio della Bibbia: “… Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore. Anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta… (Genesi, 4)”, esprime il disprezzo di Dio verso colui, che in una interpretazione distorta e strumentale dei Testi Sacri, è considerato “il primo ebreo”; di conseguenza l’episodio succitato di Caino ed Abele sarebbe il primo atto documentato di discriminazione. Purtroppo, come scrisse Erasmo da Rotterdam in Elogio della pazzia, “Anche in san Paolo le parole della Sacra Scrittura presentano delle contraddizioni che nell’originale non si riscontrano…”. “Strana malattia il razzismo! Colpisce i bianchi, ma uccide i neri…” (A. Einstein)
RIASSUNTO L’atteggiamento razzista, spesso in passato ha trovato dei riscontri positivi nelle indottrinazioni e nelle ipotesi di quelle che, in maniera aberrante ed arbitraria, venivano considerate nozioni scientifiche o culturali. Il fenomeno ha un’origine atavica profon-damente radicata nella cultura delle singole popolazioni come dimostra la presenza di tali spunti nei miti e nella letteratura di ogni civiltà, come questa rassegna vuole dimostrare.
SUMMARY The racist attitude, often in past has found of the positive replies in the theory and the hypotheses of those which, in arbitrary aberrant way and, they came considered scientific or cultural slight knowledge. The phenomenon has a deeply radicata atavistic origin in the culture of the single populations as it demonstrates the presence of such cues in myths and the literature of every civilization, as this resigns wants to demonstrate.
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