GUERRIERI ROSANNA* , BORDONE ANDREA**
L’ANORESSIA SECONDO L’INTERPRETAZIONE JUNGHIANA
L’interpretazione psicoanalitica classica, considera l’anoressia come una regres-sione del soggetto a livello della fase orale dello sviluppo, indotta dalla paura degli impulsi sessuali incestuosi del complesso di Edipo. Nell’adolescenza, vi sarebbe una riviviscenza di tale complesso. Pertanto, insieme alla sessualità genitale, si risveglierebbero desideri erotici dei figli verso i genitori di sesso opposto e si riattiverebbe il conflitto verso il genitore dello stesso sesso. La futura anoressica, sarebbe talmente spaventata da tali pulsioni, da negare la sessualità genitale e riportare l’interesse verso il primo soddisfacimento, quello orale. L’atto di cibarsi viene ad essere connotato come atto sessuale incestuoso, in accordo con la teoria dell’impregnazione orale, secondo la quale i bambini vengono concepiti per via orale. Freud non si interessò molto di anoressia, anche se il termine compare nelle sue opere in riferimento alla “mancanza di appetito o all’avversione per il cibo carat-teristiche dell’isteria”. Egli descrisse, in “Studi sull’isteria”, (1985), il caso di Emmy Von N.. In uno dei manoscritti inviati all’amico Fliess, Freud associò “l’anorexia nervosa” delle ragazze ad una melanconia, che si verifica ove la ses-sualità non è sviluppata. Nelle opere posteriori l’anoressia fu oggetto di brevi cita-zioni. In una conferenza del 1904, raccomandò di non utilizzare la psicoanalisi per eliminare rapidamente sintomi pericolosi come nel caso dell’anoressia isterica. Nel 1918 fece riferimento all’anoressia nel celebre caso dell’ “Uomo dei lupi”. La storia conteneva un breve episodio di perdita dell’appetito, che Freud interpretò come l’espressione precoce di un comportamento sessuale disturbato, specialmente nella fase orale o cannibalica. Jung non parla espressamente di anoressia, ma di ascetismo come regressione della libido sexualis. Considera il digiuno come un sacrificio dell’Io, assimilabile alla morte in vista della rigenerazione. Questa forma di sacrificio costringe la libido a deviare verso l’equivalente della Grande Madre e quindi verso l’inconscio collet-tivo. Riferimenti all’anoressia si trovano negli scritti dei post-Junghiani. Uno degli approcci più frequenti è quello della lettura mitologica ed archetipica. Un primo riferimento si trova nel mito di Eco e Narciso. La ninfa Eco viene condannata da Era a non poter parlare perché il suo parlare la distrae dai tradimenti di Zeus. Questi le lascia però la possibilità di ripetere l’ultima parola ascoltata. In-namoratasi di Narciso, Eco rimane inascoltata poiché non le è possibile esprimere i propri pensieri, ma solo ripetere l’ultima parola, che Narciso pronuncia. Per il dolo-re Eco, smette di mangiare e muore di consunzione rimanendo di lei solo la voce ecolalica. Emerge il predominio della Grande Madre, qui identificata in Era, che toglie la parola e quindi la possibilità di esprimere i propri pensieri e di comunicare con il maschile, anche se è il maschile di Narciso, che conduce alla tematica narcisistica del corpo. “Così come Eco, la giovane anoressica forse dimagrirà an-che per mettere a nudo il nucleo più profondo di sé, per annunciarsi al mondo, per mostrarsi come la terra che se arida, si spacca e lascia intravedere le pietre che ha dentro” (F. La Rosa, 2006). Per F. Montecchi, l’odierna anoressica, così come l’Eco mitologica, spesso si innamora di uomini Narciso. Viene da pensare ai protagonisti del film “Primo amore” di Matteo Garrone (2004) liberamente ispirato al libro “Il cacciatore di anoressiche” (1997) di Marco Mariolini. Nel film il protagonista, orafo, come un moderno Narciso, coltiva con implacabile ossessione l’utopia di modellare oltre all’oro, anche il corpo della donna amata fino a dire “quando sarai perfetta solo allora potremo cominciare a vivere”. Lei accetta di digiunare tendando di incarnare la presunta forma esatta dell’a-more totale. Nel libro autobiografico, che ha ispirato il film, l’autore spiega cosa lo ha condotto all’amore per le donne anoressiche: il padre assente, la madre nevrotica-ossessiva, che ha minacciato di ucciderlo all’età di tre anni, il rapporto con la madre continuamente oscillante tra la richiesta di amore ed il rifiuto espresso, la discontinuità dell’attaccamento. Tutto ciò lo porta alla ricerca di persone che rifiutano cibo-sesso-relazione nel tentativo di raggiungere la perfezio-ne dell’amore. Lei, Barbara, è una Eco disposta a tanto. È una di quelle donne, che amano trop-po, che accettano di essere “altro per esistere”, per essere amate. Scrive Marco Mariolini “volevo il controllo totale su Barbara, come se fosse stata una parte di me, una mia protesi…. L’avrei portata alla morte certa per denu-trizione, non importandomi più niente di nulla compresa la mia stessa vita…. Lei mi dava quell’illusione di completezza, sia nel corpo che nella mente, tanto mi sen-tivo fuso con lei e nello stesso tempo regista onnipotente della situazione”. Per F. Montecchi anche in Artemide è possibile trovare affinità con le anores-siche le quali tra l’altro rifiutano la sessualità. Artemide ci riporta alla purezza, alla sacralità, al rifiuto della sporca carne femminile, al rifiuto del mondo maschile. Shoerter (1983) collega l’anoressica ad Atena che appare ora dea vergine dai tratti maschili, posseduta dall’Animus, che le ha usurpato il controllo della perso-nalità, ora come dea nascente, armata, pronta ad attaccare. Shoerter e Woodman collegano l’anoressia a Demetra e Dionisio, Crista Robinson la collega a Persefone e Dionisio, e Spingei utilizza figure mitologiche quali Gea, Ecate, Demetra, Persefone. Nel mito Demetra-Persefone è Gea (la madre-terra e madre di demetra) a fare in modo che Ade catturi Kore e la porti lontano dalla madre. Kore si ritrova contro la sua volontà con Ade, rappresentante il principio maschile nel mondo sotterraneo. Udite le grida della figlia, Demetra si precipita a cercarla, non trovandola “pati-sce l’angoscia e l’orrore… quella stessa madre, che cinge d’amore, stritola in un abbraccio mortifero la figlia in una tremenda e continua contraddizione e in tutto l’orrore, che sempre comunque una giovane avverte, in una certa fase della sua vita nella complessa e variegata relazione con sua madre” (F. La Rosa, 2006). I lamenti di Demetra giungono all’Olimpo. Gli dei decretarono che la vergine violentata possa essere restituita alla madre a condizione che non abbia mangiato nulla sotto terra. Ade, udito il verdetto degli dei, sospinge a forza nella bocca di Persefone un seme di melograno. La dea viene condannata a passare un terzo dell’anno sottoterra mentre per il resto del tempo rimane con la madre. Il rapimento di Demetra scatena il suo aspetto negativo. Da divinità delle messi, si trasforma in divinità della vendetta e della sterilità, Ombra del principio fem-minile. Persefone si offre al sacrificio, scendendo nell’oscurità della maschilità paterna. Per la Woodman in “Malate di perfezione” (1998) il modello archetipico è il seguente: la donna deve separarsi dalla madre e arrendersi al principio maschile, un uomo reale che la rapisce o mediante l’identificazione con il proprio maschile interiore. Il rischio che corre in entrambi i casi è quello di essere posseduta dall’Animus. La via naturale del femminile è attraverso il corpo ed il senso dei riti di trasformazione, è quella di riconoscere la fanciulla come facente parte del co-smo. In assenza di riti, nell’epoca moderna, la maggior parte delle donne ma anche degli uomini, è identificata con il principio maschile e non vi è spazio per gli istinti femminili. In questo caso il maschile e il femminile non sono autentici e quindi non vi può essere un altro da sé al quale il femminile può arrendersi. Senza ciò, lo scopo dell’azione di Ade che rapisce Kore e la trasforma in Persefone, è privo di senso. “La donna è posseduta dall’Animus, prigioniera di un maschile indifferen-ziato, agguerrita contro la propria natura femminile” (Woodman Op.Cit). Jung, commentando questo mito in “Gli aspetti psicologici di Kore”, scrive: “La psiche preesistente alla coscienza partecipa alla psiche materna da una parte, men-tre dall’altra si protende verso la psiche della figlia…. Ogni madre contiene in sé la figlia e ogni figlia contiene la madre… e che ogni donna si estende indietro nella madre e in avanti nella figlia. Un’esperienza di questo genere conferisce all’indivi-duo un luogo e un senso nella vita delle generazioni… allo stesso tempo l’indivi-duo è liberato dall’isolamento e ripristinato alla totalità”. Questo è il ciclo della natura. Il principio femminile Gea impone a Demetra il rapimento della figlia affin-ché possa avvenire il rinnovamento e la riunione tra vecchio e nuovo. Per la Woodman assistiamo oggi alla caduta di questo mistero femminile. Le odierne Demetra-Persefone si ritrovano violentate e non rapite dal loro lato maschi-le di potere. “Poiché si è fatta carico degli standard perfezionistici dei genitori, de-gli insegnanti e della società in generale, il suo mondo di unicità interiore è stato violentato al punto da farle temere di guardarsi allo specchio per la paura di non esserci. Inoltre gli standard perfezionistici non permettono l’errore, non permettono neppure la vita e certamente non la morte” (Woodman. Op.cit). Dietro all’importanza data alla madre dall’interpretazione junghiana, è possibile scorgere il mitologema della madre-strega che adesca. Nella fiaba di Hansel e Gretel la strega accoglie i bambini in una casa di marza-pane. Li fa ingrassare per poi divorarli, mostrando così il suo aspetto di madre ter-ribile. È un chiaro simbolo, per M. L. Spinoglio (1997) di madre negativa a cui i bambini vengono consegnati da un padre debole complice del potere negativo della Grande Madre. La madre-strega-debole consegna la figlia all’orco, ove l’orco può essere il padre reale o l’Animus materno forgiato da una mentalità conformistica/ razionalizzante. Questo Animus rappresenta un aspetto dell’inconscio collettivo razionale, svuotato dal senso di destino personale ed individuativo a cui l’anores-sica cerca di sottrarsi. È anche vero che, malgrado la cattiveria della strega, il fatto di tenerli chiusi in gabbia è un modo per costringerli a sviluppare il proprio impegno al fine di soprav-vivere. Ed ancora è Gretel, rappresentante del principio femminile, ad incoraggiare il fratellino Hansel ed è ancora la strega a forzare lo sviluppo della loro maturità così come Gea fa in modo che Ade rapisca Kore. Se l’archetipo materno si slatentizza negli aspetti negativi a causa della mancata integrazione con l’archetipo paterno, è anche vero che spesso ci si trova davanti ad uomini in cui l’archetipo del maschile è al servizio della Grande Madre. Questi uomini non sono collegati in maniera individuale con sé stessi e con le loro com-pagne e cercano di compiacere la Grande-Madre-Società chiedendo alle figlie ciò che la propria madre ha chiesto loro. Per la Woodman si delineano di conseguenza due tipi di esperienza anoressica. Nella prima la donna diventa l’anima del padre. Lo spirito femminile è nella testa mentre nel corpo c’è il maschile negativo inconscio che separa dalle radici istintua-li e rende vulnerabile. Nella seconda esperienza la donna è legata all’inconscio collettivo la cui rappresentante è la Grande Madre. Quindi deve reclamare il pro-prio maschile creativo per tentare di riscattare la madre terribile. Per Stroud (1980) nell’anoressia sono gli archetipi del puer e del senex non inte-grati ad assumere aspetti negativi. Il puer negativo porta l’anoressica a rifiutare il corpo. Senza spazio e senza peso esso tende alla verticalità, opponendosi alla terra ed al materno in una condizione di perfezione distaccata dalla realtà. L’anoressica usa il corpo nell’aspetto senex, sottoponendolo ad una iperattività motoria e cogni-tiva. Nell’anoressia l’esperienza della morte rimane l’unico modo per separarsi dal collettivo, raggiungendo l’individualità ed una possibilità maggiore di trasforma-zione anche perché il puer è immortale. Le figure attraverso le quali si esprime il puer sono Ermes-Mercurio e il Briccone-Trickster. Per F. Montecchi (1995) “l’anoressica è un trickster per se stessa e per la sua famiglia perché sovverte l’ordine collettivo per realizzare il proprio modello di sviluppo individuale”. Secondo Jung la funzione del Briccone-Trickster è quella di impaurire l’Io per indirizzarlo verso una nuova via. Come il Trickster è una figura d’ombra collettiva, così l’anoressica può essere identificata come portatrice dell’archetipo dell’Ombra dell’adolescenza. Dietro ad essa è possibile scorgere l’Ombra della Società. Partendo dalle formulazioni di Neumann sugli studi di sviluppo della coscienza femminile, Montecchi fa risalire lo sviluppo dell’anoressia ad uno stadio dello svi-luppo dominato dall’archetipo della Grande Madre ed in particolare alla fase dell’incesto uroborico, nel momento che Neumann chiama di “ascesi al maschile”. In questa fase si assiste al rifiuto della terra, del corpo, della madre, per raggiun-gere il cielo e lo spirito. La futura anoressica nel momento in cui deve rompere la relazione con la madre, non riuscendo a raggiungere una propria identità, si trova imprigionata nel-l’uroboro alimentare materno. In questa fase il flusso vitale si interrompe. Il riceve-re non è inteso come atto d’amore, ma come mangiare e divorare. L’espellere viene vissuto come defecare, sputare, non creare. La patologia è un tentativo per differenziarsi. Il simbolismo dell’uroboro alimentare si dispiega, da rappresentazioni più cor-poree ad altre di livello spirituale, in temi che si ritrovano spesso nelle anoressiche. Così il rifiuto del materno infantile diventa rifiuto della maternità, della fertilità e il rifiuto del cibo diventa rifiuto del mondo con conseguente contrapposizione tra spirito e carne. “L’Io come principio che opera attraverso la testa e la coscienza, entra in opposizione al corpo, arrivando ad una dissociazione” (Montecchi, 1995). La madre primordiale, scrive Neumann è raffigurata da due tipi radicalmente diversi: uno tozzo e picnico, l’altro slanciato e astenico. Per Castellana in “L’an-goscia di essere niente” (1994), questa dualità è presente in ogni psiche femminile così come l’attivazione dell’immagine archetipica della Venere è vissuta ambigua-mente. Da una parte essa si propone come linea evoluta del proprio essere, dall’al-tra riattiva nell’inconscio personale ciò da cui proviene. Ne deriva un corpo che rappresenta un ostacolo alla completezza che è ancorata al Logos vissuto come spirito. “L’angoscia della perdita del Logos porterebbe ad un abbarbicamento ad esso, … logos che nelle anoressiche è vissuto come antagonista del soma…. Equivalente a spirito…”. Va ricercata “la morte del corpo come trionfo del Logos, spirito sulla morte, che è pienezza per sempre del proprio essere”.
RIASSUNTO I disturbi del comportamento alimentare sono condizioni estremamente complesse, che hanno radici profonde in situazioni psicologiche, biologiche e sociali. In questo elaborato cercheremo di evidenziare gli aspetti psicologici relativi all’ano-ressia, soffermandoci in particolar modo sull’interpretazione junghiana di tale disordine.
SUMMARY Eating disorders are extremely hard conditions deep-rooted in psychological, biological and social conditions. In this work we wil try to emphasize psychological aspects related to anorexia, especially focusing on Jung interpretation of this disorder.
BIBLIOGRAFIA CASTELLANA F., L’angoscia di essere niente. Melusina Editrice. Roma, 1994. FREUD S., Studi sull’isteria e altri scritti. In Opere vol. I. Bollati Boringhieri. Torino, 2003. JUNG C.G., Gli Archetipi e l’inconsciio collettivo. In Opere vol. IX. Bollati Boringhieri. Torino, 1997. LA ROSA F., Tra Scilla e Cariddi. In corso di stampa. MARIOLINI M., Il cacciatore di anoressiche. Gruppo Edicom. Legnano, 1987. MONTECCHI F., Anoressia mentale dell’adolescenza. Franco Angeli. Milano, 1994. MONTECCHI F., I simboli dell’infanzia. La Nuova Italia Scientifica. Roma, 1995. NEUMANN E., La Grande Madre. Astrolabio. Roma, 1981. SHOERTER E., A history of women’s bodies. Allen Lane. London, 1983. SPINOGLIO M.L., In CRISTIANI E., a cura di, Femminile e maschile tra nostalgia e trasformazione. Vivarium. Milano, 1987. STROUD J., Anorexia nervosa and the puer archetype. Lapis, 1980. WOODMAN M., Malate di perfezione. RED edizioni. Como, 1998.