UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA - DIP. DI CHIMICA BIOLOGICA,
CHIMICA MEDICA E BIOLOGIA MOLECOLARE
SEZIONE DI PSICHIATRIA
DE GRANDI MARIACLARA, NICOLOSI GIULIANA
AGGRESSIVITÀ E SUICIDIO: ASPETTI GENETICI DELLE CONDOTTE AUTOLESIVE
Introduzione
L’uomo non sempre utilizza le sue capacità e le sue risorse per conservarsi il bene della salute e della vita. Esiste una gradualità nelle condotte genericamente definite autolesive che si estende dalla omissione delle norme di vita riconosciute efficaci per conservare l’integrità fisica e psichica fino alla radicalità del suicidio. Il criterio di inclusione riconosciuto delle condotte autolesive tra gli atti suicidari è quello dell’intenzionalità, della consapevolezza e della finalità del gesto che si compie. Per suicidio, letteralmente uccisione del sé, si intende l’autodistruzione volontaria e intenzionale; Durkheim lo definisce come “ogni caso di morte che risulti direttamente o indirettamente da un atto positivo o negativo compiuto dalla vittima medesima, la quale sapeva come esso dovesse produrre tale risultato”. Secondo stime della World Health Organization, nel mondo ogni anno circa un milione di persone muoiono per suicidio; il suicidio rappresenta la terza causa di morte nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 24 anni. L’analisi delle metodiche parasuicidarie sottolinea la prevalenza, nell’ordine, di: abusi di farmaci, lesione con oggetti appuntiti, avvelenamento con solventi o pesticidi, precipitazioni da luoghi elevati, ustioni con il fuoco, impiccagione. La letteratura riporta una sostanziale differenza nei due sessi e nelle diverse classi d’età: i mezzi violenti (armi da fuoco) sono maggiormente utilizzati dagli anziani; i giovani preferiscono l’impiego di mezzi meno letali, spesso accompagnati da abuso alcolico; tra le donne è più frequente l’abuso di psicofarmaci. Col termine aggressività (dal latino “ad-gradior”, andare verso) si definisce la tendenza ad adottare comportamenti espliciti con la precisa intenzione di infliggere un danno ad un altro individuo. Nell’accezione più vasta il termine aggressivo serve per descrivere il com-portamento con il quale gli individui perseguono attivamente i loro interessi gli uni contro gli altri nella società, ma parliamo di aggressività anche quando intendiamo caratterizzare l’impeto e la spinta volitiva o la competizione presenti in un’attività produttiva, un’impresa scientifica, sportiva o artistica che comporti una sfida a se stessi o ad altri. L’aggressività può estrinsecarsi anche sul piano comportamentale, senza necessariamente passare all’atto, ma anche solo insultando, o “sbattendo la porta”, o facendo “scherzi” o “battute pesanti”. L’aggressività quindi non ha un si-gnificato intrinseco di “patologico”; diventa tale quando il soggetto non riesce più a controllarla, modularla, adeguarla alle situazioni, a “sublimarla” in attività creative; mentre assume aspetti di stereotipia o impulsività, irrazionalità, ed è agita in azioni potenzialmente criminali e spesso afinalistiche. Il DSM-IV-TR non prevede specificamente un disturbo aggressivo, ma il ter-mine aggressività compare nei criteri di diversi quadri clinici: Disturbo Esplosivo Intermittente, Schizofrenia, Episodio maniacale, Demenza, Abuso di sostanze, Alcolismo, Disturbi di personalità (borderline ed antisociale in particola-re). In altri disturbi l’aggressività può essere presente in forma diversa, non “eterodiretta” ma “autodiretta”, facendo di se stessi il bersaglio, l’oggetto da aggredire, come nel caso delle valenze suicidarie del depresso, degli attacchi di rabbia durante l’attacco di panico. Nel maniacale i comportamenti violenti nascono soprattutto dalla sensa-zione di onnipotenza, sicurezza di sè, dal non riconoscere nè accettare limiti alla propria spavalderia, gioia, esuberanza; ma il maniacale è anche spesso disforico ed impulsivo e non riesce a fermarsi ed a mettersi in relazione con gli altri. La vivacità della fantasia, l’accelerazione ideica, riducono la capacità di critica e di riflessione, le azioni sono così avventate, precipitose ed impulsive. Un rapido viraggio del tono dell’umore può verificarsi in qualunque momento della malattia e la depressione, accompagnata da sentimenti di paura, di inadeguatezza, di perdita di speranza, può condurre il paziente affetto da Disturbi dell’Umore a comportamenti disperati e ad atteggiamenti suicidari. L’eteroaggressività del depresso ha invece altro significato e motivazione: il depresso può uccidere per salvare il figlio dalla distruzione del mondo, può uccidere i familiari per evitare loro le atroci sofferenze che lui stesso sta vivendo e provando, o uccidere per salvare la vittima da una rovina. In entrambi i casi comunque, sia nel maniacale che nel depresso, l’impulsività e l’aggressività rappresentano un fattore di rischio per condotte suicidarie, abuso di sostanze o comorbidità con altri disturbi (es. ansia). Aspetti genetici Studi genetico-epidemiologici dimostrano l’esistenza di una predisposizione genetica per i comportamenti autolesivi. Secondo gli studi familiari i parenti di primo grado di soggetti con comportamento suicidario presentano un rischio di suicidio significativamente più elevato dei familiari dei controlli “sani”. Viceversa, circa la metà dei pazienti affetti da diversi disturbi mentali e familiarità positiva per suicidio hanno almeno un tentativo di suicidio in anamnesi. Gli studi gemellari confermano i dati degli studi familiari ed indicano una predisposizione genetica per il suicidio. Se un tratto viene trasmesso geneticamente, la concordanza per quel tratto nei gemelli monozigoti, che sono geneticamente identici condividendo il 100% del loro patrimonio genetico, deve essere significativamente più elevata rispetto a quella riscontrata nei gemelli eterozigoti che condividono solo il 50% del corredo genetico, come tutti i fratelli. A conferma di ciò, una metanalisi degli studi gemellari pubblicati in letteratura indica che la concordanza per comportamento suicidario nei gemelli omozigoti è del 13.2% significativamente più alta dello 0.7% riscontrato nei gemelli eterozigoti. È importante sottolineare che la concordanza fra gemelli omozigoti è am-piamente inferiore al quel 100% che ci attenderemmo se il comportamento fosse completamente sotto controllo genetico, indice, questo, che i fattori ambientali interagiscono in maniera rilevante con quelli genetici nel determinare il compor-tamento suicidario. Quindi, davanti agli inevitabili stress a cui andiamo tutti incontro, solo alcuni soggetti “predisposti” rispondono con la rinuncia totale alla propria vita, in contraddizione con ogni principio di conservazione della specie. Diverse ipotesi biologiche hanno ricercato le cause del comportamento suicida-rio. Sebbene non si sia ancora giunti a nessuna interpretazione univoca, è stata ipotizzata un’iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, del sistema noradre-nergico e una disregolazione del sistema serotoninergico. Studi in vitro hanno indi-cato nel polimorfismo del gene per il trasportatore della serotonina per i recettori 5-HT (1B) e 5-HT (2A) dei possibili candidati per lo sviluppo di condotte suicidarie. Nei soggetti suicidi, in specie quelli che hanno compiuto atti particolarmente violenti e letali, come pure nei soggetti con alti livelli di aggressività ed impul-sività, è stato riscontrato un deficit di trasmissione serotoninergica in specie nella corteccia prefrontale, con una conseguente riduzione della sua azione di inibizione dei comportamenti impulsivo-aggressivi originati a livello ipotalamico e limbico. I geni che controllano l’attività serotoninergica rappresentano, pertanto, ideali geni “candidati” per i comportamenti aggressivi ed impulsivi che sottendono le condotte autolesive. Infatti, mutazioni in questi geni potrebbero concorrere a determinare le alterazioni dell’attività serotoninergica osservate nei soggetti con comportamento impulsivo/aggressivo e suicidario. Gli studi genetici possono fare molto nella prevenzione di questa vera e propria emergenza sanitaria. L’identificazione di geni di suscettibilità e, conseguentemente, dei meccanismi eziopatologici alla base dei comportamenti autolesivi potrà facilitare l’individuazione di terapie più mirate, personalizzate e, in ultima analisi, più efficaci di quelle attualmente esistenti.
RIASSUNTO Negli ultimi anni molti studi clinici e sperimentali hanno investigato il ruolo di diversi fattori nell’etiologia e nella patogenesi dell’aggressione impulsiva e delle condotte suicidarie. Nella ricerca della eziopatogenesi della violenza è stata evidenziata da diversi autori l’importanza di fattori psicologici, sociali e biologici, quali una predisposizione ereditaria per il suicidio. Obiettivo di questo studio è chiarire che cosa si eredita, cioè, quali sono i fattori psicopatologici che inducono a condotte autolesive e qual è il loro substrato neurochimico e genetico.
SUMMARY In the last few years, many clinical and experimental studies investigated the role of different factors in the etiology and pathogenesis of impulsive aggression and suicidal behaviour. In the search of the violence etiopathogenesis the relative importance of psychological, social and biological factors were evidenced by different authors. The purpose of the study is explain what you inherit and what are psychopathologic factors making self-injurious behaviours and suicide.
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